Famiglia Cicola
Nell’ottobre 2012 è cominciata la nostra avventura con Villa Luce: una casa famiglia dove vivono ragazze dai 14 ai 18 anni allontanate dalla famiglia d’origine per motivi gravi di violenza e affidate al tribunale dei minori e servizi sociali.
Ci è stato chiesto se potevamo, come forma di volontariato, essere a servizio per dare ad alcune di loro la possibilità di poter fare un’esperienza di famiglia “normale”, cosa che loro non hanno mai provato.
Quindi in tutta onestà, non siamo stati noi a proporci… abbiamo già 3 figli nati in 4 anni, cresciuti con fatica e mille vicissitudini, e onestamente, dato che ci eravamo ancora dentro fino al collo, l’ultima cosa che pensavamo era cercarci un altro adolescente…
Ma quando abbiamo saputo di questa realtà era come se Qualcuno dall’alto ci chiedesse un passo in più, di aprire la nostra casa e il cuore a quelle ragazze che di sicuro erano molto in credito con la vita, rispetto a quanto noi e i nostri figli abbiamo ricevuto.
Io avevo tanti dubbi: ce la faremo? A malapena ce la facciamo con i nostri figli… io lavoro ancora… la salute di Servilio precaria… i miei genitori anziani e con necessità di continua assistenza…
Sentivo che era un impegno importante, che non potevamo prendere alla leggera: i nostri figli, che abbiamo ovviamente coinvolto, ci hanno fatto presente tante possibili “controindicazioni”, perché è naturale che il precario equilibrio in famiglia poteva venire ancora più compromesso… Però sono stati generosi, manifestando anche se in maniera diversa la loro disponibilità.
Chiara in particolare, ci ha confessato che sentiva un fondo di gelosia e senso di possesso verso di noi, ma non voleva essere egoista. Era giusto che potessimo dare ad un altro giovane quell’amore che loro hanno da sempre ricevuto da noi.
Così abbiamo timidamente risposto all’appello, e per me è stato come se avessi aperto la porta con un piccolo spiraglio e da fuori sia stata spalancata con forza, senza poterla più richiudere.
Dopo alcuni colloqui con i responsabili della casa famiglia, abbiamo incontrato una giovane di 16 anni e mezzo, della Nigeria, carattere molto forte e autonomo. nel senso che il suo primo istinto è decidere ciò che vuole e non vuole senza considerare troppo i consigli magari più saggi di un adulto (ma questo l’abbiamo scoperto meglio dopo, quando è iniziato il rapporto con lei!).
Al primo incontro ci scrutava, seria e diffidente… Non era scontato che ci saremmo piaciuti a vicenda, non tanto per noi, quanto per lei che aveva già avuto tanti difficili rapporti alle spalle…
Ricordo che prima di incontrarla avevo il cuore in gola: le piaceremo? Come è meglio che mi comporti? cosa le posso dire per metterla a suo agio?
Poi mi sono detta “E’ una creatura, figlia di Dio come ciascuno di noi, devo solo amarla col cuore senza aspettative, né desiderio di un ritorno”.
E’ questo che mi ha dato la piena libertà e serenità: non aspettarmi nulla in ritorno, lanciarmi con entusiasmo ma come se fosse a fondo perduto, con amore totalmente gratuito (come spesso accade con i nostri figli)
E in effetti è stato molto semplice, perché dopo i primi momenti ha fatto tutto lei: un fiume di domande su di noi, il mio lavoro, (le interessava tantissimo perché corrisponde alle sue passioni) Il breve momento a disposizione per quell’incontro è volato in un soffio, e quando ci siamo lasciate era come se ci conoscessimo da una vita e mi aveva preso totalmente il cuore.
Così è cominciata l’avventura con lei.
In effetti non era proprio così semplice capirla e soprattutto coinvolgerla nella nostra vita di famiglia, e il motivo più semplice è semplicemente perché non ha mai vissuto nelle dinamiche di rapporto di una famiglia.
Sono ragazze spesso con un passato tremendo, con estremo desiderio di amore ma anche incapacità di gestire bene questo amore con genitori o fratelli E’ molto difficile dare regole, anche le più basilari che per noi sono normali ma non per loro che hanno un forte senso di ribellione a tutto e tutti. Non è cattiveria, penso solo ad una creatura un pochino selvatica, che segue solo l’istinto e anche pretende tutto e di più dalla vita e dagli altri, dato che in passato ha avuto ben poco o nulla.
Un esempio semplice: una sera organizziamo una sera speciale con lei, con altri invitati e un menu particolare, è un modo di farla sentire “dei nostri”. Lei è molto felice e ci sentiamo più volte per le conferme.
Quella sera è tutto pronto ma lei non arriva, in casa ci sono reazioni diverse: chi è un po’ più duro e comincia a borbottare con critiche, chi invita ad avere pazienza (sarà in ritardo l’autobus!), chi dice “noi cominciamo a mangiare, si fredda tutto!”. Una figlia, che di solito è più rigida con le regole, è quella che più si preoccupa e continua ad andare sul balcone a vedere se arriva.
La cerchiamo al cellulare ma non risponde….
Poi finalmente risponde e, con leggerezza, ci dice che è ancora a Lecco dai suoi amici, che sta finendo di fare i capelli a sua cugina ma poi prende il treno e ci raggiunge!!!!!
Quella sera è andato tutto a rotoli e, in mezzo ai commenti di tutti, io provavo un senso di delusione e fallimento. e ovviamente non è venuta.
Un’altra volta era il compleanno di nostro figlio Davide. Dato che in quel periodo viveva fuori casa, abbiamo pensato di fargli una festa a sorpresa invitando anche lei per cena e altri amici per la torta.
Le avevamo fatto mille raccomandazioni, stavolta era a Milano e non aveva impegni, non c’era possibilità di imprevisti.
Anche quella sera non è arrivata. Stavolta è stata più dura, anche perché la cena è iniziata tardi, Davide è dovuto andare via e la festa con gli amici è saltata.
Poi è arrivata (ovviamente era sera tardi), le ho dato la cena e Servilio ed io siamo rimasti fino a molto tardi a parlare con lei. Era il momento di dirle, con calma ma decisione, che l’affetto che c’è tra noi deve essere reciproco. Noi facciamo di tutto per amarla e sentirla parte della nostra famiglia, ma anche lei, per il bene che vuole a noi, deve impegnarsi a non fare cose che ci fanno dispiacere, come per esempio rispettare gli orari e gli impegni che prende con noi. E’ per rispetto reciproco, quella corrente d’amore che non può andare solo a senso unico ma va e torna.
Il rapporto con questa ragazza è continuato due anni, molto intenso con alti e bassi, periodi sereni e altri di grosse tensioni. Era giusto rispettare i suoi tempi, perchè così è la vita in famiglia con i figli. Non dovevamo noi colmare le mancanze del suo passato, ma solo farle sentire l’amore nel presente. Potevamo avere lunghi dialoghi seguiti da grandi silenzi, ci affidava progetti e aspirazioni e noi facevamo di tutto perché si potessero realizzare. Poi cambiava idea in un batter d’occhio decidendo per qualcosa di totalmente opposto, e mandava a monte quello che avevamo fatto per lei…
Poi, per una serie di situazioni gravi, raggiunta la maggior età ha lasciato la Casa Famiglia e ha interrotto il rapporto anche con noi.
E’ successo in modo doloroso e per noi è stato un dolore grosso: era distrutto quello che faticosamente avevamo costruito con lei. Avevo saputo poi che era in giro di brutte persone. Ho cercato di ricontattarla e farle sapere che noi ci saremmo stati sempre per lei, ma non ci ha più voluto parlare.
All’inizio l’abbiamo vissuta come un chiaro segno di fallimento. Poi ci siamo ricordati di quello che ci eravamo ripromessi all’inizio: non aspettarci nulla in cambio, lanciarci con entusiasmo ma come se fosse a fondo perduto, con amore gratuito senza aspettare una gratificazione o un risultato. Quindi non avevamo fallito, l’amore non è mai un fallimento.
A quel punto però abbiamo pensato di fare una pausa con Villa Luce, ne eravamo usciti un po’ malconci e anche i figli ci hanno imposto di tirarci fuori.
Ma non è stato possibile. C’era talmente bisogno di aiuto che non ci hanno dato modo di rinunciare a questo servizio.
E così da quest’anno ci hanno chiesto un supporto diverso: anziché seguire una sola ragazza a casa nostra, noi come coppia ci impegniamo una sera a settimana – il mercoledì – fisso, per andare in una delle comunità di Villa Luce dove convivono 8 ragazze e un’educatrice.
Quella sera andiamo verso le 18 e prepariamo la cena per loro (già pianificata da casa nostra), ceniamo insieme, e restiamo fino a quando vanno a dormire. Facciamo come due genitori che mettono a tavola 8 figlie e in qualche modo raccolgono la vita della loro giornata.
Intanto è già una bella impresa organizzare una cena per 11 persone, le ragazze, l’educatrice e noi due. Una non mangia il formaggio, l’altra è rigorosamente vegetariana, una mangia per 3 e un’altra è sempre a dieta.
La cosa più impegnativa è cercare di tenere un minimo di armonia nella convivenza forzata di 8 ragazze che non sono sorelle e si trovano in quel posto per una forzatura e non perché l’hanno chiesto loro.
Gli equilibri sono difficilissimi, discussioni e litigi praticamente sempre. Anche mercoledì scorso avevamo organizzato una serata speciale, con cena a richiesta seguita da tombolata con premi. Le ragazze erano gasatissime e non vedevano l’ora ma durante la cena per una banalità è finita in rissa. A fatica siamo riusciti poi a ricomporre un minimo di ordine e in qualche modo a riportare armonia.
Sono tutte ragazze belle toste, due italiane e 6 di altre nazionalità, ciascuna con un animo molto sensibile e unico. A volte ci dicono cose davvero pesanti, dove non so proprio come aiutarle o cosa consigliare. Ogni volta vedo che basta l’ascolto, o quella sola parola che le fa sentire amate e capite.
E’ capitato che dovessimo intervenire in modo duro per calmare le acque (e loro si intimoriscono un pochino, soprattutto quando parla Servilio) ma anche in quei momenti è importante mettere da parte la rabbia e ricordarci che parliamo a Gesù in ciascuna di loro.
Cuciniamo montagne di cibo, il cuoco è Servilio, e siamo un’ottima squadra. Mentre lui cucina io mi dedico alle ragazze e sono disponibile nel caso volessero parlarmi. Poi lavo montagne di piatti e pentole, magari anche quelli lasciati dal pranzo.
Torniamo a casa stracotti, non possiamo negarlo, ma non lo facciamo vedere ai figli altrimenti riprendono a ostacolarci. Li abbiamo convinti dicendo che ci prendiamo il mercoledì sera come la “nostra” serata di coppia, come se Servilio ed io ce ne andassimo al ristorante o al cinema. Poi quello che facciamo è un “affare nostro”.
Pensiamo che questa esperienza sia un’ottima occasione per vivere l’Ideale di Chiara “andando fuori” , e di sicuro per noi un grande dono.
Un incontro straordinario
Ci avevano chiesto di andare in una Parrocchia di Quarto Oggiaro, quartiere molto impegnativo di Milano, per incontrare un gruppo di giovani adolescenti (14-16 anni): serata molto interessante nella quale avevamo raccontato nostre esperienze di vita in famiglia e rapporto con i figli, con scambio molto animato di loro domande e impressioni.
Alla fine, mentre stavo raggiungendo la nostra auto, mi si è avvicinato un giovane di colore, che inizialmente mi ha un pochino spaventata perché la strada era molto buia, lui era nero nero. Mi ha colpito perchè aveva un asciugamano giallo che gli avvolgeva la testa che, come ho subito capito, gli serviva per ripararsi dal gelo pungente di quei giorni.
Mi ha mostrato un fogliettino strappato con scritto solo “Comasina” e a tutti i miei tentativi di capire dove volesse andare, parlando in inglese o italiano, riusciva solo a dire la parola “church”.
A quel punto abbiamo deciso di accompagnarlo davanti alla Chiesa della Comasina. A quell’ora di sera tardi era tutto chiuso, non c’era anima viva in giro e non sapevamo proprio cosa fare perché questo giovane non diceva una parola, era infreddolito, sperduto, affamato e solo.
In un pensiero veloce mi sono accordata con l’Eterno Padre, doveva darmi una mano in qualche modo, perché di certo non volevo mollare quel giovane lì.
E’ passata una persona e le ho chiesto se poteva aiutarmi a capire perché questo giovane eritreo fosse stato indirizzato lì. Mi ha risposto che aveva sentito di una Chiesa d’Eritrea Copto Ortodossa, e ci ha spiegato più o meno dove si trovava. Così siamo andati a cercare questa Chiesa.
Dopo un po’ di traversie l’abbiamo trovata, era chiusa, non c’era anima viva e nessun riferimento o contatti o cartelli con orari che potessero aiutare.
Il giovane ci ha detto che avrebbe passato la notte lì fuori dalla Chiesa in attesa di incontrare qualche amico. Ma era ovvio che non potevamo lasciarlo lì.
Abbiamo provato a chiamare Centri d’accoglienza, o numeri che abbiamo trovato in internet per capire se era possibile trovare un rifugio provvisorio, almeno per quella notte ma era tutto strapieno.
Intanto si era fatto tardi ed eravamo tutti congelati e stremati.
Non c’era altra soluzione se non lasciarlo lì sulla strada oppure portarlo a casa nostra. Le persone con cui abbiamo parlato ci hanno detto di non farlo assolutamente perché era troppo rischioso.
Con Servilio ci siamo guardati e ci siamo trovati con lo stesso pensiero: lo avremmo portato a casa nostra.
Quando siamo arrivati a casa e dovevamo salire al 6° piano in ascensore era spaventato e timoroso perché probabilmente era la prima volta in vita sua. L’unico modo per comunicare erano pochissime parole in inglese, e zero italiano. Tutto a gesti e sorrisi, per rassicurarlo che quella sera sarebbe stato con noi.
La prima fase è stata rifocillare il fisico, una bella doccia calda, e la cena: due piatti di riso e tante spagnolette. Sicuramente era una vita che non faceva un pasto caldo decente. Mi ha colpito quando gli ho messo il piatto di riso sul tavolo: prima di prendere la forchetta si è raccolto e ha fatto un segno di croce, mentre io ero già partita in quarta a mangiare perché ero affamata.
Al caldo abbiamo potuto ragionare tutti meglio e capirci un pochino di più: Tesfazghi, 20 anni, dall’Eritrea aveva attraversato mezza Africa a piedi e con mezzi di fortuna, partito dalla Libia su gommone, sbarcato a Lampedusa, arrivato ad Agrigento, poi a Roma (dove un connazionale gli aveva dato il famoso fogliettino con scritto Comasina!) e arrivato a Milano.
Siamo riusciti a contattare suo fratello in Inghilterra, e con Whatsapp abbiamo potuto comunicare con messaggini e due lunghe telefonate che hanno riempito di gioia Tesfazghi.
Intanto, nostro figlio che era già a letto, dopo il primo momento di sospensione, senza che noi gli chiedessimo si è attivato per cercare in internet dei possibili indirizzi o ristoranti dove potessero esserci comunità eritree e ha tirato fuori dal suo armadio vestiti pesanti, scarpe e un giaccone.
Poi a sera tardi siamo andati a dormire. Mentre gli preparavo il letto, ero consapevole che la notte sarebbe stata un bel po’ meno sotto il nostro “controllo” ma, a quel punto, potevo solo passare tutto nelle mani della Madonna, con la fiducia che tutto partiva da un atto d’amore quindi sarebbe andato bene.
Il mattino dopo sono andata al lavoro presto mentre Servilio è rimasto a casa.
Arrivata in Azienda incontro una receptionist e ad un suo saluto mi viene spontaneo dirle solo il titolo di quello che stavamo vivendo, lei mi dice che conosceva una ragazza eritrea sua compagna di elementari, e che avrebbe provato a cercarla.
Poi è tutto un susseguirsi di tasselli che si incastrano in maniera incredibile, che ci portano alla fine ad avere il contatto di un signore eritreo, Abramo che, arrivato in Italia come clandestino, si è poi inserito ed integrato con un lavoro e, da anni, collabora con il comune di Milano per la prima accoglienza di tanti suoi connazionali.
Nel frattempo la mia receptionist riesce a contattare la sua amica Magda, che, colpita da quanto stavamo facendo, ha voluto aiutarci inizialmente come interprete parlando più volte al telefono con il giovane e con noi, per capire bene la sua situazione e, insieme, poterlo aiutare al meglio. In seguito, quando abbiamo preso appuntamento per accompagnare Tesfazghi da Abramo in centro a Milano, ha voluto venire con noi. Il suo aiuto come interprete è stato preziosissimo: abbiamo potuto creare un rapporto profondo, non limitato all’assistenza concreta di un tetto e del cibo, ma di dialogo e affetto profondo. Quello che ci ha raccontato era ben peggiore di quanto potessi anche lontanamente immaginare ma sembrava quasi che per lui esistesse solo la gioia di quel momento e la speranza di un futuro migliore.
Arrivati all’appuntamento, ci sono sul marciapiede alcuni giovani eritrei che riconoscono Tesfazghi e lo abbracciano con gioia incredibile: Magda ci spiega che avevano fatto insieme una parte della traversata di deserto nel lungo viaggio in Africa, poi si erano persi e incredibilmente ritrovati!
Io passo di stupore in stupore, colpita e commossa da questa catena di situazioni incredibili che non possono accadere solo per un caso come se tutto fosse parte di un sottile filo d’oro iniziato da un piccolo atto d’amore.
Parlando con Abramo, capiamo che Tesfazghi è in ottime mani, finalmente con persone suoi connazionali, e con loro in qualche modo potrà cercare di raggiungere il fratello in Inghilterra.
Salutandoci Abramo mi dice “Tu signora hai il cuore di Dio”. Al momento mi è sembrata una frase un po’ esagerata, e ho tentato di schermirmi ma poi ho dato a queste parole un valore diverso: “Io cerco di avere nel mio cuore l’amore di Dio per il prossimo, ed è lo stesso amore che ci accomuna anche a loro, di religione ortodossa o musulmana, ma tutti figli dello stesso Padre.